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Quando l’età diventa un altro handicap

21 novembre 2010

Tra le varie scelte adottate dalla delibera della Giunta regionale della Sardegna sull’erogazione di finanziamenti per i progetti personalizzati della l. 162/98, dobbiamo prendere atto che per le persone ultra65enni il contributo finanziario viene ridotto ad un massimo di 35% dell’ammontare previsto per persona con disabilità che nella valutazione complessivo raggiunge un identico punteggio.
Come se non bastasse i malcapitati 65enni potranno impegnare le risorse assegnate in alcune prestazioni o servizi ricompresi in un elenco diverso e ristretto dagli altri cittadini con identiche disabilità.
Si è dunque in presenza di una immotivata e inaccettabile negazione dei diritti e di un inimmaginabile discriminazione!
Se, malauguratamente, un cittadino di 66 anni dovesse perdere la vista o incorrere in un incidente stradale finendo su una sedia a rotelle, non potrà fruire della stessa entità di contributo per analoghe situazioni ma dovrà rassegnarsi ad alcune ore di assistenza domiciliare.
In altre parole l’incredibile decisione dell’Assessore Regionale non prevede servizi o attività rieducative quali la riacquisizione delle abilità di lettura e di comunicazione o la riabilitazione sociale per la mobilità. A 65 anni si viene esclusi ed emarginati (anzi rottamati) perché in età non rientrante nei criteri individuati dai governanti regionali.
La legge 162/98 è emanazione dell’art. 39 della 104/92 che disciplina i diritti per tutti cittadini in situazione di grave handicap.
Quindi i progetti personalizzati previsti nella 162 si riferiscono a tutti senza distinzione di età.
Occorre, invertire sia la cultura sia i criteri che ispirano le schede dei progetti personalizzati e partire dai bisogni derivanti dalla disabilità e non dall’età.
Le due finalità della legge 162/98 sono il perseguimento dell’autonomia delle persone con disabilità e lo sgravio familiare. Non esiste riferimento all’età. L’introduzione di questo criterio è un puro e punitivo criterio selettivo e contabile.
Nella delibera, come quelle precedenti, ci sono due criteri: quella dei tre anni e quella oltre i 65 anni che risultano non condivisibili e oltremodo iniqui.
Se ogni intervento, programmato con i progetti personalizzati, deve essere finalizzato al miglioramento dei livelli di autonomia è necessario che non si interrompa con l’età.
Si tratta di una scelta ingiustificata se non per valutazione contabile. Non tiene conto che l’andamento demografico caratterizza una società di persone in gran parte adulte e che l’anzianità non coincide con i 65 anni. Secondo: lo sviluppo della mobilità privata porta con sé numerosi incidenti stradali che producono una casistica di invalidità e disabilità superiore a quelle che si registrano in età di infanzia e adolescenza. Ancora. La società del benessere porta la Sardegna ad altro triste primato nella diffusione del benessere con conseguenze gravi nella perdita della vista.
Insomma vi sono numerosi fattori, comportamenti e stili di vita che causano l’aumento delle disabilità soprattutto nell’età adulta.
Ciò comporta permanenti bisogni di rialfabetizzazione, rieducazione che rappresentano diritti universali e indipendenti dall’età.
Non prendere atto di un contesto difficilmente negabile significa negare diritti inalienabili di ogni cittadino.
Ecco perché chiediamo che siano rivisti i criteri e le scelte adottati nella delibera 34/30 del 18 novembre 2010.

Alfio Desogus, Presidente della FISH Sardegna onlus

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