Associazione ciechi ipovedenti retinopatici sardi
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2 aprile 2014
Quali rappresentanti delle organizzazioni dei disabili e altre organizzazioni impegnate nel settore dei servizi alla persona partecipanti alla commissione dell'Assessorato regionale Sanità e Assistenza sociale della Regione Sardegna per i programmi sui progetti personalizzati (l.162/98), negli ultimi anni si è avuto modo di verificare le numerose difficoltà e discussioni spesso incoerenti con gli obiettivi posti dalla legge. Sulla base dei documenti condivisi in varie occasioni e assemblee, sono state presentate diverse proposte che puntavano a definire risposte appropriate per tutte le persone con disabilità.
Nella commissione costituita da tecnici dell’assessorato competente, dall’associazione dei comuni, dall’ordine degli assistenti sociali, dalle ASL, dalle due principali federazioni regionali dei disabili, dai tre sindacati più rappresentativi e da un’esponente di un comitato delle famiglie, le nostre proposte sono state condivise dalla stragrande maggioranza dei partecipanti, ma non condivise dell’esponente dei familiari. Le decisioni assunte sono state puntualmente disattese nelle deliberazioni annuali della Giunta peraltro confortate dal parere positivo della commissione consiliare competente.
Non si condividono peraltro le considerazioni e le conclusioni dell’articolo apparso nel sito di superando.it il 26 marzo 2014 con cui l’estensore (già componente della commissione consiliare), rifacendosi a dati statistici sociologici e demografici, mira a conservare l’attuale impostazione rigettando di fatto le proposte reiterate negli anni per superare approccio e metodologia utili a eliminare disparità di valutazione, di trattamento e di evidenti discriminazioni.
Qui non si tratta di dividersi tra difensori e modificatori, tra conservatori e innovatori, ma di rovesciare l’assunto culturale e politico-sociale. Mentre da una parte si pone al centro il criterio dell’età e della patologia, dall’altra, come noi, si pone il criterio valutativo del bisogno e del ruolo dell’ente locale. C’è chi sostiene il centralismo dando il controllo alla Regione e chi, come noi, ritiene decisiva la funzione dell’unità valutativa territoriale e del comune per consentire l’integrazione e l’ottimizzazione dei servizi, delle attività e delle prestazioni programmate.
Quest'ultima scelta è affermata e disciplinata da tutte le leggi nazionali e regionali ma soprattutto è una soluzione per territorializzare l’organizzazione dei servizi.
Facciamo alcuni esempi contenuti nell’attuale delibera per mettere in evidenza gli aspetti valutativi, le disparità e le discriminazioni generate dall’attuale delibera regionale.
Età
Perché a un paraplegico di 36 anni viene attribuito una differenza di punteggio rispetto ad uno che ne ha 35? In cosa esiste la differenza?
Perché un disabile visivo di 40 anni colpito da glaucoma riceve un punteggio di valutazione minore di 10 punti rispetto ad un 40enne colpito da retinite pigmentosa? Dal punto di vista dell'’handicap non vi sono differenze!
Perché un 66enne finito in carrozzina per sclerosi multipla o per incidente si vede decurtato il contributo di oltre il 65% rispetto a chi è nella stessa identica situazione ma ha 64 anni?
Patologia
Perché due persone con identica disabilità (cecità o paraplegia o distrofia) ma causata da diversa patologia hanno diversa valutazione nella scheda medica?
Perché in presenza della stessa disabilità si verifica una valutazione diversa da parte dei medici e, a volte, addirittura dallo stesso medico?
Se si è in presenza di una disabilità con situazione di irreversibilità legalmente dichiarata si deve ricorrere alla visita annuale del proprio medico pur in presenza di certificazioni di medici specialistici pubblici?
Disparità di trattamento
Perché una persona con disabilità che si vede attribuita una valutazione pari a 73 punti riceve un contributo inferiore di 1500 euro rispetto ad altra persona disabile (magari con il coniuge nella stessa identica condizione) che si vede riconosciuto 74 punti? Si possono fare casi ancor più gravi e di dimensione finanziaria diverse! Da cosa viene giustificato?
Perché a una disabilità gravissima vengono riconosciuti un punteggio e una valutazione decisamente inferiore alla valutazione della sua situazione socio-familiare?
Si può ritenere coerente che i punti conseguiti nella parte sociale siano nella stragrande maggioranza dei casi superiori a quelli della valutazione medica?
Perché se la finalità del provvedimento è quello di elevare o migliorare l’autonomia personale non viene riconosciuto il 60% alla condizione personale?
Perché la maggioranza delle prestazioni programmate nei progetti personalizzati sono finalizzate prevalentemente all’assistenza generica familiare e non ai servizi e alle prestazioni alla persona che migliorano l’autonomia della persona disabile?
Ottimizzazione territorializzazione
Perché i progetti, fermo restando la personalizzazione, non possono essere coordinati dai comuni?
Perché la co-progettazione ancora oggi non coinvolge i servizi sanitari e i comuni?
Quali raccordi vengono effettuati per l’uso ottimale dei servizi esistenti nei comuni?
Quanti cittadini titolari dei progetti conoscono le singole valutazioni e la struttura del proprio progetto personalizzato pur essendo titolari e firmatari responsabili dei contenuti?
Sono queste solo alcune domande su cui chiediamo all’estensore dell’articolo e alla rappresentante del comitato delle famiglie di dare una risposta pubblica perché chiarisca la contrarietà e non condivisione che abbiamo inteso sintetizzare. È nostro intendimento proseguire nell’opera di miglioramento dei progetti personalizzati. La migliore difesa di una conquista è nel monitoraggio intelligente, equo e non strumentale.
Non abbiamo preoccupazioni di esercitare supervisioni e visioni padronali ma intendiamo riportare l’attuazione nel luogo naturale dove si crea il bisogno.
È nel territorio che si crea l’integrazione e la certezza della continuità delle prestazioni. Da questo punto di vista puntiamo ad un ruolo diverso nella co-progettazione, nella disponibilità articolata dei servizi e nella qualità degli operatori. Ecco perché bisogna rendere triennale il provvedimento per il finanziamento dei progetti personalizzati, ricondurli alla valutazione del bisogno e dell’handicap, dislocarli nei comuni e nelle ASL. La libera scelta e la domiciliarità devono essere rispettate e devono essere esercitate nel territorio, nel comune e ricorrendo agli albi professionali. La libera scelta va sostenuta e regolata altrimenti si cade nella privatizzazione di cui abbiamo avuto nel passato esperienze da non ripercorrere.
Tutto questo rimette in discussione i progetti personalizzati? No, perché si intende guardare al futuro con maggiore sicurezza, che può venire solo e soltanto dall’appoggio di una rete di servizi territoriali, diffusi nel territorio, partecipati e funzionalmente accessibili.
Cagliari, 01 aprile 2014