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L’occhio bionico ridarà la vista ai ciechi?

2 luglio 2010

Gli interessanti sviluppi della ricerca mondiale sui nuovi impianti elettronici per la retina

ROMA. La ricerca sull’occhio bionico procede a piccoli ma promettenti passi. In tutto il mondo 20 diversi team sono al lavoro per realizzare il sogno di un occhio sintetico che funzioni perfettamente come già accade, ad esempio, per le protesi acustiche per gli audiolesi. Il problema, oggi come in passato, è che l’occhio è una struttura particolarmente complessa e delicata; inoltre quello dell’ottica sintetica è un campo in cui l’alta ingegneria medica ha ancora difficoltà a fare grandi balzi in avanti.
Ciò nonostante, alcuni impianti elettronici sulla retina sono già stati realizzati. Recentemente il MIT di Boston ha sviluppato un nuovo prototipo che può ridare la vista a persone affette da un certo tipo di cecità. Anzi, per essere più precisi: può aiutarle a vedere meglio. Questo tipo di impianto, rimpiazzando le funzioni delle cellule retinali, ha la capacità di fornire un certo grado di visione di base a quei pazienti affetti da retinite pigmentosa o da degenerazione maculare dovuta all’età avanzata – due disfunzioni dell’occhio che risultano essere le principali cause di cecità.
Questa specie di occhio bionico, cioè, non è in grado di produrre ancora un’immagine di alta qualità; quello che riesce a sintetizzare ha una definizione molto bassa. Basta guardare questa simulazione, realizzata da un gruppo di ricercatori del Tokyo Institute of Technology, per rendersene conto.
Per riuscire a riprodurre sinteticamente una visione di buona qualità, molto vicina alla realtà, ci sarebbe bisogno di una protesi retinale ad altissima risoluzione in grado di elaborare migliaia (milioni) di pixel a velocità elevate, in quanto gli apparecchi che sostituiscono le funzioni della retina hanno l’arduo compito di rimpiazzare milioni di cellule fotorecettrici presenti nell’occhio. Ma perché tutto ciò sia possibile occorrono ancora decine di anni di studio e di avanzamento tecnologico.
Come funziona dunque la nuova protesi messa a punto dal MIT? Si tratta di un paio di occhiali speciali su cui è montata una piccola videocamera che fornisce i dati dell’immagine catturata a un chip incastonato nel titanio e montato sulla superficie esterna del bulbo oculare. Il processore passa i dati al sistema nervoso attraverso un gruppo di elettrodi fissati sotto la retina con la funzione di stimolare il nervo ottico. Non solo: gli occhiali hanno anche la funzione di trasmettere energia alle bobine che circondano i bulbi oculari.
Lo sviluppo di questa tecnologia di altissimo livello ha richiesto studi lunghi e accurati; il MIT ha lavorato sul Boston Retinal Implant Project per 20 anni. I ricercatori iniziarono a testare gli elettrodi su sei pazienti videolesi solo 10 anni fa.
Il professor John Wyatt – l’ingegnere elettrico a capo degli scienziati di Boston - ha intenzione di testare il prototipo su nuovi pazienti per i prossimi 3 anni. Per il momento delle prove sono state eseguite solo sui maiali; in questo caso, comunque, gli impianti hanno dimostrato di essere resistenti, reggendo per circa 10 mesi senza alcun danno alla parte elettronica.
Nel luglio scorso a 30 pazienti - provenienti da tutte le parti del Mondo – è stato impiantato l’Argus II. Questa protesi retinale, sviluppata dalla Second Sight di Sylmar (California), è composta da una griglia di 60 elettrodi fissata alla retina. La sperimentazione, seppur iniziata da pochissimo tempo, ha già mostrato qualche timido ma promettente risultato. In questa intervista realizzata dalla BBC un uomo cieco ha dichiarato che ora, grazie alla protesi, è in grado di percepire una linea bianca presente sul pavimento e di riuscire a distinguere un paio di calzini bianchi da uno di calzini neri.
In questo video dal titolo “Bionic Eye by 2020” il professor Nigel Lovell dell’Università del New South Wales ha dichiarato che creare un occhio bionico è molto complesso, prendendo come termine di paragone la non semplice evoluzione nel passaggio dalla radio alla tv.
Uno dei problemi fondamentali nello sviluppo di queste raffinate tecnologie consiste nel capire dove sia meglio sistemare gli elettrodi che trasmettono le immagini al nervo ottico. Ci sono diverse scuole di pensiero a riguardo. Ad esempio, “Bionic Vision” - il gruppo di ricercatori australiani con cui collabora il professor Lovell - è propenso a sistemare gli elettrodi al di sopra della retina, mentre il MIT è convinto che il posto giusto sia al di sotto. Difatti, così agendo, sarebbe necessario un intervento di chirurgia meno invasivo e si ridurrebbe il rischio di lacerazione della retina.

Nicola Smeerch Bruno

ITnews.it del 29-06-2010

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