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Rassegna stampa settimanale 06-04-13

6 aprile 2013

La Stampa del 03-04-2013

Farmaci anticolesterolo funzionano contro la degenerazione maculare

USA. Che un farmaco anticolesterolo possa invero curare anche la maculopatia, o degenerazione maculare, può sembrare inverosimile. Ma non se si scopre che proprio il colesterolo ha un ruolo di primo piano nel causare questa patologia oculare che può portare alla cecità.
Ad aver scoperto il ruolo fondamentale del colesterolo nella malattia degli occhi è stato un team di ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis, i quali hanno condotto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Metabolism.

La degenerazione maculare è più diffusa di quanto si pensi. Colpisce in particolare le persone oltre i cinquant’anni, tuttavia si può manifestare anche in soggetti più giovani. Si ritiene che questa patologia abbia un legame comune con l’aterosclerosi (l’indurimento delle arterie) che, a sua volta, ha un legame con il colesterolo. Difatti, le due patologie – quella oculare e quella vascolare – hanno in comune uno stesso difetto: l’incapacità di eliminare gli accumuli di grassi e colesterolo.

Questo studio, condotto sia su modello animale che su cellule umane, ha permesso di scoprire che sono proprio i depositi di colesterolo a contribuire alla degenerazione maculare, all’aterosclerosi e anche, infine, alla crescita dei vasi sanguigni che formano alcuni tipi di cancro.
Per il trattamento dei problemi delle arterie e correlati ai livelli di colesterolo, ai pazienti di solito sono prescritti farmaci anticolesterolo. E, proprio questi farmaci, potrebbero essere utili nella prevenzione o trattamento della degenerazione maculare.
«Sulla base dei nostri risultati – spiega nella nota Washington il dottor Rajendra Apte S. – abbiamo bisogno di verificare se la perdita della vista causata dalla degenerazione maculare potrebbe essere prevenuta con colliri o altri farmaci per la riduzione del colesterolo che potrebbero impedire l’accumulo di lipidi sotto la retina».

Nella cosiddetta forma “a secco” della degenerazione maculare legata all’età, esaminando l’occhio si possono osservare depositi di lipidi (grassi) sotto la retina. Quando questi depositi aumentano di volume e numero, lentamente iniziano a distruggere la parte centrale dell’occhio, interferendo con la capacità visiva della persona.
Quando poi i macrofagi invecchiano non riescono più a contrastare i depositi di grasso sotto la retina. Avviene così che i macrofagi stessi si gonfiano a causa del colesterolo, dando vita a un processo infiammatorio che porta alla formazione di nuovi vasi sanguigni, i quali, a loro volta, possono causare ulteriori danni. Questi vasi sanguigni, caratterizzano la fase successiva chiamata forma “umida” della degenerazione maculare.

«In ultima analisi, l’infiammazione crea una miscela tossica di sostanze che portano alla crescita di nuovi vasi sanguigni – sottolinea Apte – Gran parte della perdita della vista da degenerazione maculare umida è il risultato di un sanguinamento e formazione di tessuto cicatriziale, legati alla crescita anormale di vasi sanguigni». (lm&sdp)


Il Centro del 03-04-2013

Patologie della retina, ecco come curarle

I consigli del professor Mastropasqua direttore del centro di eccellenza in Oftalmologia dell’università d’Annunzio.
Mastropasqua: l’ obiettivo è fornire la più alta tecnologia supportata dalla ricerca

PESCARA. La vista è un bene prezioso che va conservato con cura. E se molti sintomi di malattie oculari passano inosservati, diventa fondamentale un controllo periodico per la prevenzione di diverse patologie, prime tra tutte quelle retiniche. Il centro di eccellenza in Oftalmologia dell’università d’Annunzio di Chieti-Pescara, diretto da Leonardo Mastropasqua, ha ottenuto un riconoscimento internazionale in ambito di diagnostica, trattamento e chirurgia delle patologie della retina. Pochi giorni fa, a Mastropasqua è stata conferita la medaglia Coscas da una commissione di esperti. Che cos'è la retina. E' la struttura nervosa situata nella porzione più interna del bulbo oculare. Le immagini che si formano su di essa nell'area denominata “macula”, vengono trasferite mediante il nervo ottico alla corteccia cerebrale, che infine le traduce in immagini visive. «La retina», spiega Mastropasqua, «è interessata da molte patologie. Le più comuni sono: retinopatia diabetica, degenerazione maculare senile, distacco della retina». Degenerazione maculare legata all’ età. Si tratta di una malattia che colpisce la macula, la zona più sensibile della retina, deputata alla visione chiara e distinta. Nei casi gravi il malato perde la visione centrale con problemi nella lettura e nella guida: quando si guarda un oggetto se ne distinguono solo i contorni. Può essere difficoltoso riconoscere l’insorgere della malattia poiché può inizialmente colpire un solo occhio, non provoca dolore e avanza lentamente: si notano solo piccole deformazioni delle immagini. In Italia, circa un milione di persone presenta i primi segni di degenerazione maculare. La degenerazione maculare insorge dopo i 50 anni, mentre dopo i 70, una persona su quattro viene colpita dalla malattia. L’intervento terapeutico tempestivo può ridurre o ritardare la perdita visiva. «La terapia attuale», spiega Mastropasqua, «si basa sull’utilizzo di farmaci anti-angiogenetici di ultimissim a generazione, che iniettati all’interno dell’occhio vanno ad antagonizzare i vasi anomali che non esistono in una macula normale». Retinopatia diabetica. E’ la principale causa di cecità nelle persone di età compresa tra i 25 e i 65 anni. E’ una complicanza frequente negli individui affetti da diabete mellito. Se ne distinguono due forme: una non proliferante e una forma proliferante più aggressiva, che può condurre ad un distacco di retina. Dopo 20 anni di malattia, due pazienti diabetici su tre sono affetti da retinopatia diabetica. Il dato regionale fa riflettere: il 19 per cento degli abruzzesi presenta danni irreversibili alla retina. I sintomi sono costituiti da annebbiamento visivo e visione distorta, ma qual è la cura? «La terapia consiste in un trattamento laser retinico navigato, in caso di edema maculare e di retinopatia diabetica proliferante», afferma il professore, «e una terapia chirurgica detta vitrectomia mini-invasiva in caso di retinopatia diabeti ca proliferante severa, spesso complicata da distacco di retina trazionale. Infine, iniezioni intravitreali di anti- Vegf in caso di edema maculare». Distacco della retina. E’ una patologia pericolosa per la vista, frequente nei pazienti con miopia elevata. Il primo campanello di allarme è costituito dalla visione di mosche volanti (miodesopsie) seguito dalla percezione di lampi luminosi e infine dalla perdita parziale o totale del campo visivo. Se la retina non viene più nutrita tramite il contatto con l’epitelio pigmentato, si arriva già dopo 24-48 a una perdita funzionale della vista. «Solo un intervento chirurgico tempestivo», aggiunge Mastropasqua, «aumenta la percentuale di successo, e questo grazie anche alle moderne tecniche chirurgiche mini-invasive che permettono di operare il bulbo oculare con minimi tagli e senza suture». Ipovisione. Quando, nonostante le terapie, la funzione visiva si riduce in modo permanente e non consente una vita normale, allora si parla di ipovisione. A questo punto, è necessario che il paziente entri in un percorso riabilitativo e rieducativo della vista. Con queste finalità, è stato istituito il polo unico regionale di alta specializzazione. «Il nostro obiettivo», conclude Mastropasqua, «è fornire, nel pubblico, la più alta tecnologia supportata dalla ricerca per consentire ai pazienti la migliore qualità della vita e della vista».

di Melissa Di Sano

Sordità libro Gitti Giuseppe
Interessante trattazione sulla sordità e sui sordi
a cura di Salvatore Nocera

Si chiama “sordo o Sordo?” la più recente fatica letteraria di Giuseppe Gitti, fondatore e direttore del CRO di Firenze (Centro di Rieducazione Ortofonica) e della rivista specializzata in fisiopatologia della comunicazione «I CARE», libro centrato sull’annoso problema riguardante l’educazione delle persone “nate-sorde-profonde”, ovvero sull’opportunità/necessità di comunicare con l’oralismo o con la LIS (Lingua Italiana dei Segni)
Il libro sordo o Sordo?, recentemente dato allo stampe per i tipi di Franco Angeli, è l’ultimo di una serie di interessanti testi scritti da Giuseppe Gitti, fondatore e direttore del CRO di Firenze (Centro di Rieducazione Ortofonica) e della rivista specializzata in fisiopatologia della comunicazione «I CARE».
Si tratta di un’opera molto interessante poiché centrata sull’annoso problema riguardante l’educazione delle persone sorde, circa l’opportunità/necessità per i sordi “nati-sordi-profondi” di comunicare con l’oralismo o con il linguaggio mimico-gestuale, oggi riqualificato come LIS (Lingua Italiana dei Segni). La trattazione – che si avvale di ampie citazioni bibliografiche, sia dei sostenitori della LIS che dei critici di essa, primo tra i quali lo stesso Gitti -, si sviluppa su undici capitoli, sui quali ci soffermiamo via via qui di seguito.
Il primo capitolo, dal titolo Il sordo, chi è costui?, traccia a grandi linee la storia di come i sordi siano stati considerati a partire dall’antichità e in esso si apprendono cose assai interessanti, ignorate dai più. Molto importante, ad esempio, è apprendere che già nello “storico” Congresso di Milano del 1880 fu sancito il principio dell’oralismo, come mezzo comunicativo dei sordi in Italia, orientamento accettato allora anche nelle scuole speciali per sordi, ma che cominciò ad essere contrastato prima e contestato poi, dalle stesse scuole speciali per sordi e dall’ENS – l’allora Ente Nazionale Sordomuti, oggi Ente Nazionale dei Sordi – quando negli ultimi Anni Settanta fu sancito il diritto all’inclusione dei sordi nelle scuole comuni, con l’articolo 10 della Legge 517/77.
Il secondo capitolo, poi, intitolato Acquisizione o apprendimento della lingua, è piuttosto tecnico, ma comprensibile, e illustra la distinzione tra «capire, sentire e udire», mentre il terzo (Protesi acustica o impianto cocleare) mette in luce l’attuale realtà dei cosiddetti “sordi perlinguali”, divenuti cioè tali alla nascita o prima dell’apprendimento naturale della lingua orale, oggi messi in grado di poter sentire e quindi di poter apprendere la lingua parlata.
E ancora, il quarto capitolo (Abilitazione e/o educazione) è anch’esso piuttosto tecnico, ma comprensibile a tutti, e punta l’attenzione sull’apprendimento della parola, tramite la riabilitazione e la lettura labiale, mentre il quinto (Sordità e turbe associate) fissa l’attenzione sulla negazione del fatto che i sordi abbiano – in quanto tali – disturbi specifici di apprendimento.
Una pacata, ma pressante critica all’affermazione della LIS come Lingua Italiana dei Segni arriva quindi nel sesto capitolo (LIS: linguaggio o lingua?), ove si sostiene sostanzialmente che la LIS stessa sia un “linguaggio”, mancante cioè dei requisiti che possano fare parlare scientificamente di una lingua.
Il filo logico impostato da Gitti prosegue poi con il settimo capitolo (Bilinguismo), in cui egli critica la tesi di chi vorrebbe che i sordi dalla nascita imparassero dapprima la LIS e poi la lingua orale, sostenendo invece il contrario, nel caso cioè che un sordo volesse imparare pure la LIS.
Successivamente, dopo l’ottavo capitolo, incentrato sull’Interprete LIS, figura di mediatore limguistico sulla quale si discute, il nono si intitola significativamente I sordi profondi parlano, per affrontare la questione se la LIS faciliti o meno l’apprendimento della lingua, discutendo pure dell’importanza della lettura.
A spiegare poi il titolo stesso dell’intera opera (sordo o Sordo?), arriva l’omonimo decimo capitolo, vibrante confutazione – anche qui espressa con pacatezza, ma con fermezza – della LIS come lingua di una minoranza linguistica. Qui la tesi viene sviluppata con condivisibili argomentazioni giuridico-costituzionali, linguistiche ed antropologiche, argomentazioni che hanno tra l’altro convinto le Commissioni Parlamentari a rigettare una recente Proposta di Legge, tendente a far riconoscere la LIS come lingua della minoranza linguistica della comunità dei sordi italiani.
Infine, l’undicesimo e ultimo capitolo (Sordi o disabili) insiste sul fatto che i sordi – specie in Italia – non possono essere considerati una comunità, come avviene in America, ove addirittura vi sono gruppi portatori di “orgoglio sordo”, che cioè non vogliono sottoporsi a interventi chirurgici per poter acquistare l’udito, essendo appunto orgogliosi del proprio “status”. Anche per questo, nei Paesi anglosassoni, la LIS è considerata la “lingua dei sordi”, mentre in Italia – specie dopo le moderne protesi e l’impianto cocleare – ormai i sordi sono considerati non più “sordo-muti”, ma solo sordi, che possono però imparare a sentire e a parlare e quindi a integrarsi nella società senza nulla perdere e senza la necessità della “protesi umana”, costituita dagli interpreti gestuali.
Si tratta quindi di un libro che senza gli accenti polemici presenti in precedenti pubblicazioni dell’Autore, si raccomanda per la serietà delle argomentazioni adottate e per la molteplicità delle citazioni bibliografiche favorevoli e contrarie alle tesi sostenute. Esso può pertanto risultare assai utile alle famiglie che vogliano educare i propri figli sordi – specie se nati da genitori udenti, che sono per altro la quasi totalità – a un’effettiva inclusione sociale. Esso può risultare poi assai utile anche agli operatori dei servizi, e soprattutto agli insegnanti, per fugare in loro i pregiudizi inveterati circa l’impossibilità dei sordi profondi ad imparare a leggere, scrivere e parlare la lingua di tutti.
Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Giuseppe Gitti, sordo o Sordo?, Milano, Franco Angeli, 2013, con prefazione di Oscar Schindler, 156 pagine, 20 euro.
 

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